Con gli occhi del Sahel. Prove di schiavitù globale

Vista da qui la disfatta è inspiegabile. La sottomissione post-costituzionale alle autorità costituite, elette, riconosciute e financo ringraziate appare come un paradossale equivoco. Solo decenni di pattuita e accettata sottomissione al nuovo ‘Leviatano’ che si avvale dei mezzi di in-comunicazione ha reso possibile la dimissione alla quale, da lontano, buona parte dell’Occidente sta offrendo al mondo e al Sahel in particolare. La ricostruzione dell’Europa dopo la seconda guerra mondiale, terminata nel ’45 e, di riflesso, del resto del pianeta, non averbbe dovuto condurre all’attuale genocidio delle democrazie parlamentari in così poco tempo. Operai, partigiani, sindacalisti, militanti, uomini di Chiesa e responsabili religiosi, attivisti sociali, movimenti di emancipazione femminile, associazioni di difesa dei diritti umani, liberi pensatori e comuni cittadini hanno subito, senza colpo ferire, la sottrazione sistematica, coerente e scientifica della propria dignità. Ridotti a non-persone pensanti, trattati da incapaci di decidere, scegliere e volere sono stati resi soggetti innoqui nelle mani della paura della morte, per troppo tempo espunta dal vocabolario simbolico dell’Occidente. Il tutto con relativa poca resistenza anche da parte di chi avrebbe dovuto allertare lo spirito. Tra i corpi confinati nei campi di raccolta di frutti e legumi, quelli detenuti nei centri di detenzione, identificazione, espulsione e quelli confinati nelle case la differenza è solo apparentemente rilevante. Anche perché il primo e decisivo confinamento è quello mentale, nello spirito, nella testa e poi, da lì, scivolato sui corpi, resi gradualmente e potenzialmente nemici dell’altro. Di questo le maschere, per un tragico carnevale quotidiano e pervasivo, si sono estese alla vita sociale, ai mezzi di trasporto e soprattutto ai mezzi di pensiero. Quest’ultimo è diventato schiavo ormai da tempo. Bene lo ricordava, a suo tempo, Pier Paolo Pasolini e altri che come lui, avevano saputo intravvedere il processo crescente di mutamento antropologico che la sociètà, globalizzata, dei consumi avrebbe perpetrato sugli umani. Trasformati in consumatori consumati dal sistema di predazione simbolica del neoliberalismo che ora solo si accingerà a cambiare di abito.

Vista da qui la disfatta è spiegabile. Non si tratta di vane teorie del complotto perché dinnanzi all’evidenza si tratta solo di lasciarsi ferire gli occhi, il fianco e le mani. Un’evidente e inedita sproporzione tra la realtà di una malattia e la reazione alla stessa che ha saputo coinvolgere il mondo conosciuto sotto l’occhio vigile del controllo mediatico. Naturalmente buona parte della gente del Sahel ha sufficienti prove per trattare il ‘Corona’ di invenzione occidentale e passare con disinvoltura da una visione ‘punitiva divina’ ad argomenti molto più interessanti che possono essere ricondotti ad una prima e parziale conclusione. Una grande montatura per perpetuare e, se possibile, rendere ancora più consistente la dominazione dell’Occidente sull’Africa che, contro tutte le più nefaste previsioni, insiste et r-esiste, come solo lei sa fare, abituata com’è ai tentativi di schiavitù che i secoli passati l’hanno vista indiretta protagonista. Alcuni insinuano, forse non senza fondamento, che un certo numero di governi del Sahel, accentua volutamente il numero dei malati onde ricevere aiuti economici, remissioni di pene pecuniarie e soptattutto giustificare l’inettitudine delle politiche di giustizia sociale. Parlare di salute e censurare la democrazia e la giustizia è ‘il’ crimine.

Vista da qui la disfatta è possibile. Ma solo ad alcune condizioni che definiranno i prossimi e delicati mesi di supposto e ambiguo ‘deconfinamento’, visto quasi come una grazia dopo la ‘protezione’ dei cittadini offerta dal potere costituito. La disfatta sarà completa, totale e per un certo tempo irreversibile, se non si avrà la forza politica, fisica e simbolica di proporre una narrazione diversa da quella dominante. Non ci sarà via di scampo finchè si continuerà a delegare la gestione dello spirito, del corpo, del lavoro, della partecipazione democratica, ad un manipolo di specialisti che solo aspettano la dimissione dei popolo per prendersi cura dell’ eliminazione dei più deboli. La perdita sarà quasi irreversibile se si continuerà a fare della salute, intesa come mera (nuda) sopravvivenza, senza senso, nè legami né riti di iniziazione e di accompagnamento, delle realtà liminali dell’esistenza. La disfatta sarà tragica per i poveri senza una riappropriazione ribelle delle parole, delle strade, le piazze, le stagioni, i tramonti e soprattutto delle aurore.

 

                                                                                      Mauro Armanino, Niamey, maggio 2020