Confinamenti di polvere

Si esce poco la sera compreso quando è festa/ e c'è chi ha messo dei sacchi di sabbia vicino alla finestra,
e si sta senza parlare per intere settimane, e a quelli che hanno niente da dire/ del tempo ne rimane.

 Lucio Dalla quando cantò ‘l’anno che verrà’, intuiva un non so chè di attuale. I confinamenti dei sacchi di sabbia della società erano cominciati tempo addietro e l’unica differenza è che ora risultavano più visibili. Il trinceramento del paese e del continente, concepito per frenare, ritardare o perlomeno filtrare i ‘barbari’, si era andato finalmente precisando. Prigionieri di schermi, di paura e di sospetti, i comuni cittadini facevano esperienza di ‘confini’, cioè di limiti di un territorio, di una proprietà e di una condizione. Il confinamento apparve allora come una logica conseguenza di quanto si stava perpetrando e portato con determinata ostinazione fino al limite. La rinuncia alla sovranità aveva coinciso con la crescita esponenziale del capitalismo che, fingendosi globale, aveva in realtà mascherato l’accumulazione nelle mani di pochi il frutto delle spossessioni neocoloniali. In cambio di un moderato benessere quantitativo, il comune cittadino si era lasciato espropriare della propria facoltà di giudicare e decidere quale fosse l’importante e quale invece il superfluo o l’effimero. Accadde dunque quanto alcuni avevano previsto con lungimirante saggezza politica e che fu riassunta da un pensatore come Boezio, secoli addietro, nel suo ‘Discorso sulla servitù volontaria’. Essa si è poi trasformata da volontaria in strutturale e infine decretata come bene comune.

Ciò anche qui da noi a Niamey. Proprio il giorno in cui l’opposizione aveva previsto una marcia di protesta e di denuncia rispetto a quanto di torbido accade nel Paese, è entrato in vigore il decreto del governo sull’epidemia di ‘Coronavirus’. Il Niger non è stato finora toccato dall’epidemia e un piccolo e scontato arsenale di proposte hanno visto la luce nella polvere della città che convive con essa da alcuni giorni. Questo Paese, per la sua posizione di cerniera, è stato scelto come frontiera, limite e dunque ‘confinamento’ per migliaia di migranti che vorrebbero esercitare l’impervio diritto alla mobilità. Un Paese in confinamento che comunque accoglie nel suo sabbioso seno oltre 400 mila persone rifugiate dai paesi vicini e, tra questi, diverse migliaia di persone dai campi di detenzione libici. Sono stati sospesi tutti gli avvenimenti internazionali programmati a Niamey, il confinamento per 14 giorni di tutti coloro che arrivano da uno dei paesi colpiti dall’epidemia, il divieto di tutti gli assembramenti, politici, sportivi e culturali suscettibili di riunire almeno 1000 persone e le restrizioni di persone per le varie cerimonie di festa o di lutto. Persino il gesto di pace, di solito scambiato tramite una stretta di mano, è stato vietato dai due vescovi del Paese tramite una lettera alle comunità cattoliche del paese. Ci si è dunque dovuti limitare ad uno ‘sguardo’ di pace che, almeno per ora, non accetta confini. La manifestazione citata è stata oggi dispersa coi lacrimogeni e una parte del Mercato Grande di Niamey è partita in fumo e si lamentano alcune vittime del sinistro .

Chi di spada ferisce di spada ferisce, fu scritto. Nulla di più vero anche in questa tragica circostanza. Dopo aver contribuito a perpetrare confinamenti all’interno e all’esterno delle penisola, coi centri di identificazione e all’esterno, ad esempio nel Niger, col confinamento dei migranti, si è a nostra volta confinati nel proprio territorio. Qui, sapessero tutta la vicenda, dovrebbero dire ‘Aiutiamoli a casa loro’, frase ben conosciuta al sapore di confinamento razziale. Ne avrebbero il diritto o forse il dovere, visti i precedenti di questa storia di frontiere che si inventano e smontano a seconda delle convenienze. Aiutiamoli a casa loro perché non esportino altrove quanto si sta adesso mettendo in quarantena, dietro le finestre coi sacchi di sabbia e con tutto il tempo che rimane. Imponiamo agli altri che stiano a casa loro, perché ritenuti poveri e inadatti al sistema di consumo globale. Le frontiere esterne dell’Europa, Frontex e il sistema europeo di sorveglianza delle frontiere, Eurosur. Con droni, aerei da ricognizione, sensori e telerilevamento satellitare per tracciare l’immigrazione clandestina negli Stati membri dell’Unione Europea. La Fortezza Europa è come una profezia che si autoavvera, solo che in prigione, adesso, si trova l’Europa, e senza possibilità di visite guidate. Un giorno forse non lontano, il confine ricomincerà a spostarsi e, grazie alla resistenza della polvere, la vita riprenderà a sconfinare verso altri orizzonti. E proprio quel giorno l’acqua benedetta, al momento vietata nell’ acquasantiera alle porte delle chiese, si trasformerà in una pioggia senza fine, uguale per tutti.

 

                                                                     Mauro Armanino, niamey, 15 marzo 2020