In margine al terzo Summit Continentale: la pace di sabbia di Niamey

Gli assenti al Summit Continentale di Niamey, perché non invitati, erano i poveri. I contadini e i figli dei contadini, la maggioranza del paese, gli sfollati, i giovani perduti nel deserto del futuro e le migliaia di bambini le cui scuole sono chiuse. Come opportunamente ricorda l’attivista Moussa Tchangari, più volte imprigionato dal potere…’ eppure è proprio là, nei villaggi e nelle piccole città straziate che si gioca la questione della pace globale nel Sahel e nel Niger. Speriamo che i muri delle sale delle conferenze non siano né troppo spessi né troppo alti per fermare l’eco triste del dramma che vive a qualche kilometro da loro’. L’amico Tchangari opportunamente ricorda che, tra qualche giorno, si celebrerà l’anniversario della Repubblica del Niger in una delle zone del Paese più colpite dai gruppi armati terroristi. Malgrado gli incontri continentali, il nuovo aeroporto internazionale, qualche strada asfaltata in più, l’indice dello sviluppo umano del Paese è tristemente lo stesso: all’ultimo posto della lista.

Il Summit è stato proposto e soprattutto finanziato dalle Federazione per la Pace Universale, di cui il noto predicatore sud coreano Sun Myung Moon, ormai deceduto, fondatore della Chiesa dell’Unificazione, è stato il Presidente.  Che questo incontro si tenga nel Niger non è casuale viste le scelte ogni volta più neoliberali del ‘Rinascimento Culturale Nigerino’, nella cui capitale si è tenuto, tra l’altro, il ‘battesimo’ della Zona Africana di Libero Scambio (ZLECAF). L’insieme del vertice, al quale partecipano 2 000 invitati, prevede al menu dei festival della famiglia, dei giovani, delle azioni di impegno cittadino come ad esempio piantare alberi, pulizia mirata, un concorso di canti e naturalmente un concerto allo stadio. Quanto al tema scelto, non poteva essere più eloquente: ‘Costruire un’Africa pacifica e prospera, centrata su valori universali’. La Pace Universale a cui fa allusione la Federazione è quella dei mercati liberali, dell’anticomunismo come dogma e dei soldi che pensano ‘comprare’ la Pace all’ingrosso. Che ci sia inoltre un’allusione ai valori tradizionali della famiglia per un’Africa che vinca, non è che il complemento dell’operazione di marketing.

La cerimonia di apertura, giovedì scorso nel Palazzo dei Congressi di Niamey, è stata presieduta dall’attuale presidente della Repubblica Issoufou Mahamadou in compagnia della cofondatrice della Federazione per la Pace Universale, la signora Hak Ja Han Moon. Si è registrata la presenza di 6 capi di stato e di governo in funzione, 17 rappresentanti di governi, 25 anziani capi di stato e di governo, 22 presidenti e vicepresidenti delle Assemblee Nazionali, 125 ministri, 380 parlamentari, 330 capi religiosi, 350 capi tradizionali, 750 attivisti delle società civile, responsabili dei giovani e molti altri invitati. Mancavano, perché non invitati o impossibilitati a partecipare: i poveri, i mendicanti, i bambini senza scuola, gli universitari dagli anni accademici senza fine, i lavoratori informali, i rifugiati, i migranti, gli sfollati e le donne che non figurano nella lista delle imprenditrici. Erano fuori concorso le centinaia di rapiti, i contadini dimenticati, le ragazze fatte sposare da bambine, i bambini ‘talibé’ delle scuole coraniche che percorrono le strade con la ciotola metallica, gli adolescenti che puliscono i vetri delle macchine contro la volontà degli autisti e i venditori di guinzagli per cani inesistenti. Erano lontani dal palcoscenico i morti sul campo, i feriti, gli ammalati senza cura, i disoccupati, i prigionieri, le signore che mettono in vendita il loro corpo per far campare la famiglia, le adolescenti in cerca di modelli e coloro che spazzano la sabbia di notte dalle strade della capitale.

Non si saprà forse mai il costo finanziario dell’operazione montata dalla Federazione per la Pace che, in questo modo, non sarà mai Universale. Perché la pace trovi una casa degna di riceverla le condizioni da rispettare sono molteplici. La prima, la più semplice è anche la più difficile: ripartire dal popolo, dai poveri, dal ‘basso’. Dall’alto non accadrà mai nulla di sostanziale. E poi la verità, la libertà e la giustizia sono ciò, che  sole, che assicurano la pace durabile. Nessuna di queste è stata seriamente invitata al Summit. Questi soldi potevano servire a ospitare, nutrire, accompagnare le migliaia di bambini espropriati dalle scuole a causa del terrorismo. Si preferiscono, invece, i VIP e le inutili dichiarazioni finali. Si preferisce una pace di sabbia.

 

                                                                                  Mauro Armanino, Niamey, 30 novembre 2019