Silenzi di sabbia nel Sahel: un mese di prigionia per padre Gigi

L’eternità si misura con la sabbia. Proprio come i giorni, le settimane, i mesi e gli anni che di sabbia sono fatti. La sabbia del Sahel questo l’ha sempre saputo. L’eternità è un misto di sabbia, di cielo e di polvere. Solo conta il presente che si industria a inventare il passato e poi si ostina a credere nel futuro. Anche il presente è fatto di sabbia o poco più. Il silenzio dal rapimento del padre dura da un mese, granello di arena imprigionata.

Era il 17 settembre scorso quando il tempo si è insabbiato a Bomoanga, perso al confine tra il Niger e il Burkina Faso. Cristo si è fermato nel villaggio sconosciuto ai più dove l’amico Pierluigi Maccalli aveva scelto di tornare per rimanere. Dalle 21.30 di quel lunedì è passata una breve eternità che la sabbia, invano, cerca di nascondere. Sono passi,tracce, voci, allusioni, speranze, attese e frustrazioni, tutte assediate dalla sabbia che dall’eternità le seduce e poi abbandona nel cammino.

Ricorda che sei polvere e che in polvere ritornerai. La cenere sulla fronte di vecchi, donne e bambini,  accompagnava queste parole del prete ogni primo mercoledì della creazione. La cenere è da un mese sulla fronte del rapito nella prigionia di sabbia. Cristo non è fermato ad Eboli, ha continuato fino a Bomoanga e forse ancora più lontano. Si trova, come sempre, confinato da un mese e chissà, in tutto questo tempo, come sposa il tempo con l’eternità, che adesso tace per pudore.

Le ore, i giorni e le settimane passano come se d’improvviso non si avesse più nulla da fare, da dire e da raccontare. E invece risuona nel Sahel, per chi sa ascoltare, il grido più forte che mai sia stato sentito nel Sahel. L’unica rivoluzione, si sa, è quella di ottobre, il mese dei testimoni della missione, anch’essa di sabbia, come tutte le rivoluzioni che si rispettano. E sulla polvere di eternità il quinto vangelo, quello secondo Pierluigi, si scrive sulla sabbia del Sahel. Il vento lo porta lontano.

                                                                               

                                                                                      Mauro Armanino, Niamey, ottobre 2018