Quando la volpe perde il pelo ma non il vizio. Noi siamo Mamoudou.

Era passato dal Niger. Mamoudou Gassama avrebbe potuto scomparire da sconosciuto nel deserto o nel mare Mediterraneo, complice occasionale dei migranti. Poteva essere stato detenuto, derubato e rimandato nel suo nativo Mali in una delle qualsiasi frontiere che ha sfidato fino in Francia. Ve lo dicevamo che i Mamoudou arrivavano per salvarvi e non ci facevate credito. Adesso che il governo francese gli ha promesso la naturalizzazione per avere soccorso un bimbo in pericolo di vita ci darete ragione. Qui nel Sahel formiamo scalatori di palazzi, badanti, raccoglitori di frutta, venditori di giornali, tecnici di laboratorio, inventori di frontiere, pizzaioli, imbianchini, trapezisti, mendicanti  e giocatori della nazionale di calcio. Facciamo quello che possiamo per accontentarvi e renderci utili alla vostra missione civilizzatrice. Perché forse avete perso il pelo ma non il vizio coloniale. Quello vi accompagna tutt’ora e lo trasmettete alle nuove generazioni. Quelle appunto che noi salviamo sfidando la forza di gravità delle vostre politiche che condannano gli umani per ciò che sono e non per ciò che fanno.

Noi siamo Mamoudou. Ci avete fatto l’elemosina di un documento che ci permetterà di passaresulle vostre strade a testa alta. Come degli eroi perché un Mamoudou qualsiasi di 22 anni ha preso per mano un figlio vostro destinato a precipitare nel vuoto. Financo lo stesso presidente che vi rappresenta ci ha ricevuti con tutti gli onori del caso. Pensate di regolarizzarci con un foglio di carta e poi, fra tre mesi,  un permesso di soggiorno della durata di dieci anni. Infine vorreste ‘naturalizzarci’ e farci diventare come uno di voi. Non ci riuscirete perché rimarremo diversi da voi. Con le mani nude, le stesse che abbiamo portato da lontano, ci arrampicheremo sui vostri palazzi che non sono diversi dalle frontiere di fili spinati sui quali ci siamo allenati per anni. Ecco perché scaleremo le vostre montagne di indifferenza ipocrita che mette al bando la solidarietà tra umani. Il delitto di solidarietà col quale condannate chi salva le nostre vite non l’avete applicato con Mamoudou. Siete rei di complicità nel creareun mondo che vi seppellirà nella tristezza.

Il vostro presidente Macron, che dice di non poter accogliere, non diversamente dagli altri, tutta la miseria del mondo ci ha ricevuti e fatto gli elogi. Altri, simili a lui, volevano darci una medaglia, la legione di quell’onore che avete perso per sempre dall’avventura coloniale fino ad oggi. Non avete perso però il vizio di mettere voi e il vostro mondo come baluardo della civiltà e unico criterio della storia. Avete semplicemente fallito e con voi i diritti che dite di mettere per iscritto nei codici che di civile non hanno più nulla. Ci avete offerto un contratto di dieci mesi da apprendista pompiere per farci spegnere gli incendi che la nostra presenza propaga. Non ci riuscirete, ve lo assicuriamo senza nessun timore.  Con Mamoudou siamo partiti nel 2013, e fanno cinque anni spesi per cercare di raggiungervi e salvarvi. Un anno di più del bimbo francese sospeso nel vuoto.Una mano aggrappata al terrazzo e l’altra afferrata per dargli la vita che lo abbandonava al silenzio della sera della vostra capitale. Persino  la signora sindaco ha rconosciuto che siamo degli eroi.

Siamo eroi senza documenti. Per quelli come noi, irregolari, illegali, clandestini e con ascendenze criminali, l’unica porta è quella d’uscita. La de-porta-zione al paese di sbarco. Ci avete battezzati di recente ‘dublinesi’, dal nome della capitale dell’Irlanda dove ci avete affidato un’identità. Il luogo di sbarco è anche quello di ritorno, per il resto ci si affiderà agli accordi di riammissione in cambio di soldi e vergogna. Col padre e la madre del bimbo entrambi assenti abbiamo assicurato la vostra perpetuità. Dieci mesi assicurati coi pompieri, un permesso di soggiorno e un giorno la vostra nazionalità. Come non credere alle favole.

 

                                                                                                     Mauro Armanino, Niamey, giugno 2018