La cicatrice

 

Le guerre non finiscono mai. Sporche guerre che uccidono e feriscono chi non c'entra. Vorrei che i figli dei fabbricanti di armi fossero tra i profughi della guerre lontane. E che le figlie dei politici  che dividono il mondo sentano il sapore delle ferite. Le guerre continuano sempre. Creano generazioni perdute che inseguono la vita. Non esistono più le guerre di liberazione ma solo quelle di disperazione. La storia universale è un'invenzione. Solo esistono le storie singole che si raccontano e stanno insieme per passare la notte. La vita è una ferita che diventa cicatrice.

 

Ha mostrato la sua poco sotto la spalla sinistra. Minacciata e poi ferita col coltello. A 15 anni non sarà mai più la stessa. Donne si diventa sempre senza volerlo. A quello servono le guerre e solo per questo possono giustificarsi. Lei tace con gli occhi che sfuggono quelli di sua madre. L'ultima guerra del Centrafrica è uguale a tutte le altre. Saccheggi, rapine e stupri che delle guerre sono parabole impazzite. Le altre tre sorelle erano scappate con lei e la nonna nel Cameroun. Abitavano sotto una tenda per rifugiati finché la madre le ha portate con lei a Niamey. Ora il figlio minore che era con lei è geloso. Continua a ripetere che la madre è solo sua e piange a causa di un'otite.

 

Theophilus ha lasciato il suo paese il 6 aprile del 1996. Data indimenticabile per gli abitanti di Monrovia. Bande ribelli che avevano preso come ostaggio i quartieri della città. Solo pronunciare la data faceva ancora paura. Lui da allora ha conosciuto solo i paesaggi dei campi profughi. Con i suoi 31 anni riparte dall'inizio con una donna e un figlio che potrebbero raggiungerlo a giorni. La camera nuziale di fango è arredata e pronta per l'occasione. Chiede una tendina ricamata per la finestra. La moglie forse arriva prima di continuare il viaggio di ritorno al paese che ancora non sa.

 

Emmanuel voleva andare in Italia o in Spagna. Fa il falegname e quando passa il tempo aggiusta cellulari che non ascoltano mai. Si è trovato in mezzo alla guerra di Libia e solo la sorte lo ha messo da parte per salvarsi nel Soudan. Anche lì la guerra l'ha sopreso dopo averlo a lungo pedinato. Si ritiene fortunato solo perché la vita continua a non dimenticarlo la mattina. Recita la preghiera del migrante che  ricorda solo quando la sete di viaggiare diventa insostenibile. Potrebbe tornare solo avesse qualcuno ad aspettarlo nel paese. Sua madre è partita prima del ritorno del figlio

 

Chatman faceva affari che andavano male. Dopo aver messo assieme 1.400 dollari americani tenta il viaggio di nascosto quando la guerra lo sorprende. Si nasconde per mesi finché non lo prendono per un mercenario al soldo di Gheddafi e detenuto in carcere per complicità.  Quanto aveva guadagnato si prosciuga nel viaggio di ritorno. Ha dovuto lasciare i documenti, la borsa e il cellulare come pegno alla compagnia di trasporto. Si domanda come rimborsare il biglietto che gli anno anticipato con la promessa da migrante. Dice che ha sentito parlare di San Gennaro che protegge i naviganti. Anche per questo voleva andare in Italia.

 

Marie e Ibrahima fanno una bella coppia perduta. Entrambi i passaporti sono assediti da visti e da frontiere mai sognate. Nel Darfur hanno inciampato nella guerra che aveva lasciato in Guinea prima di passare in Nigeria. Non si sentivano al sicuro e hanno messo al mondo un figlio per ipotecare la vita sulle loro intenzioni. Il padre mostra la foto del figlio che non sa come chiamare. Marie è stata in Francia e non ha mangiato niente dalla mattina. Partono la notte dopo aver trovato nella farmacia la medicina che non guarisce quando si ha fame.

 

Fatiha arriva dall'Algeria e porta con sè il fiero colore dei Berberi che tramano la libertà. Torna dove è moto il padre dei 4 figli che restano a testimoniare. Parte domattina alla volta del Burkina Faso che ha messo a tacere l'unica rivoluzione che si ricordi. I due gemelli che la accompagnano portano entrambi i pantaloncini e la maglietta del Barcellona. Un solo biglietto per due.

 

                                                                                  mauro armanino, niamey, agosto 2013