Tornare a casa

Naturalmente è saltata la luce e poi corre subito per salutare. Casa è dove si abita e dove ci si sposa. A Niamey come dappertutto non è facile trovarla. Tornano le strade che inciampano nelle macchine e il caldo moderato dall'insipiente stagione delle pioggie. Non c’è bisogno della cintura di sicurezza per chi guida e a volte neppure della patente. I viaggi di ritorno sono attese con appuntamenti da fissare il giorno dopo. Affascinano gli schermi negli aeroporti coi nomi delle città che si avvicinano e si allontanano a seconda degli orari. Compaiono per un istante le geopolitiche degli imperi e degli stati che esistono solo sulla cartina. Scorre a Istambul la lista delle capitali e delle città di cui la globalizzazione si è gradualmente arricchita. Parigi con Colonia. Lagos con Tripoli. Praga con Amsterdam. Benghasi con Riyad. Tokio con Zurigo. Londra con Venezia. Atene per ironia della sorte con Berlino. Mosca appare isolata. Spunta Vienna e dopo qualche incertezza Niamey. Abbinata a Ouagadougou del vicino Burkina Faso dove Turchish Airlines farà scalo subito dopo.

 

Sullo schermi i confini sembrano fuori luogo e le destinazioni hanno il falso sapore di neutralità. Come se andare a Baghdad o a Damasco fosse una scelta senza conseguenze. Europa e Asia e Africa rincorrono l'America Latina dove si sposta il papa con un bagaglio leggero. Aeroporti invisibili come le città di Calvino che si smontano di notte e appaiono il mattino.Città dai colpi di stato che durano poco e quelle dove le dittature sembrano eterne. Lo stesso schermo dove emergono e poi scompaiono i nomi delle città. Nomi imparati dei giornali e delle televisione si inseguono con dubbia coerenza. Conta poco la speranza di vita e il sistema politico con la corsa agli armamenti.

 

Niamey e Ouaga sono alla porta 307 e andare alla zona d'imbarco è come avvicinarsi alla meta. Mutano i colori delle borse e delle persone. Il saluto per chi occupa la sedia accanto come fosse naturale. Una complicità non intaccata dalle consuete operazioni d'imbarco. Il Boeing 737 che parte quasi in oraio per imbrogliare i pochi ritardatari. Alcune signore, forse di ritorno da un corso, leggono il Corano in formato tascabile per inseguire il Ramadan ormai in vigore.

 

Da Milano a Istambul fanno 1735 kilometri ai quali si aggiungeono i 4225 per raggiungere Niamey dell’aeroporto Diori Amani. Se a questi si sommano quelli che separano Genova da Milano superiamo i 6 mila kilometri. Tutto questo viaggio per farsi minatori che scavano storie sepolte tra i detriti del quotidiano. Allineati come i sedili dell’aereo che sembra a suo agio col tramonto sul deserto tra le nubi. Ognuno col propro schermo a scegliere la trasmissione preferita e il digiuno del signore di fianco al corridoio. Passa il vassoio e c’è la possiblità di scegliere secondo le altitudini culturali della compagnia che è parte del consorzio Star. D’improvviso le stelle spuntano malgrado loro e sembrano garantire l’impunità a chi le conta.

 

La casa è dove si abita per più tempo col cuore e le ferite. Nessun luogo è uguale eppure si assomigliano tutti negli occhi e nelle lacrime. Per colui che ama nessuna casa è lontana. Niamey esce sullo schermo dell’aeroporto e sembra una destinazione qualsiasi. Invece è una casa che si accampa tra il fiume e il deserto che avanza senza esserne invitato. Rispuntano e si moltiplicano i bidoni di fronte agli ingressi delle istituzioni e gli hotel più importanti. Sono come funghi che costeggiano il giardino del nulla. La temperatura si aggira sui 35 gradi è l’umidità aiuta a ricordare le pioggie che latitano per mancanza di mezzi di trasporto. La casa è dove si è attesi prima di tornare e dove si torna prima di partire. Luogo di transito permanente e di identificazione dove non si registrano espulsioni. Niamey si scopre dall’altra parte e nessuno dei migranti trova nulla da ridire. Quasi tutti dicono che non vorrebbero restare e poi trovano casa per andare altrove. E nel frattempo non sanno cosa fare e si lamentano del calore e della polvere. Fà ancora notte quando si alzano per la preghiera e per lavorare perché durante il giorno mancano le forze.

 

 Dalla parte dell’oblò del Boeing si trova Rakia che ha dodici anni imprestati dal tempo. Sembra a suo agio tra lo schermo TV, il telefonino e il sonno. Torna a casa con suo padre e sua sorella. Da grande vorrebbe fare la banchiera perché è forte in matematica.       Mauro armanino niamey luglio 2013